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FERROVIE DEL MESSICO

Una mia carissima amica ha detto che questo “Ferrovie del Messico” è il nostro Cento anni di solitudine. Non so… ma di certo è uno dei romanzi italiani che più si avvicina al realismo magico di marqueziana memoria. Romanzo fiume verrebbe da dire, dove si ha l’impressione che l’autore potrebbe scrivere all’infinito tanto è fluido, senza chiudere gli anelli narrativi, che ci sono eccome, il tutto mascherato da una notevole padronanza del linguaggio, piegando le parole a proprio piacimento come sarebbe piaciuto all’ingegner Gadda. Situazioni drammatiche, esilaranti, momenti di assoluto caos che attraverso le dinamiche di scrittura assumono la loro compiutezza. E poi l’anticipazione di scoperte, che nel 1944 al massimo erano allo stato embrionale, e invece l’autore le da per scontate, facendo fluire il futuro nel passato in una macchina del tempo che genera emozioni, come quando parla di seni al silicone o di disastri ambientali in fiumi avvelenati da vernici che cambiano il paesaggio circostante assieme all’immaginario delle persone.